Il solco tra Nord e Sud esce approfondito da questa tornata elettorale.
L’euforia per l’odore di svolta esalato da Napoli a Milano è sacrosanta, ma occorre evitare di restarne invischiati. E’ una precauzione necessaria dopo quello che è accaduto all’indomani di Tangentopoli. Pensavamo che tolti di mezzo democrastiani e socialisti fosse arrivato finalmente il turno della buona sinistra e invece è spuntato Berlusconi e ha fatto man bassa. Lasciando alla sinistra solo le briciole, ossia il fuoco fatuo dei “nuovi sindaci”.
Il Nord ha da sempre il problema di assicurarsi la sponda politica che meglio risponde all’esigenza di mantenere salda la sua integrazione produttiva, finanziaria, sociale al centro della civiltà, alle aree più dinamiche del globo. Questo obiettivo non è mai stato semplice da raggiungere e costituisce in sé una promessa di secessione: il Sud può essere preso in considerazione solo nella misura in cui diventa funzionale al progetto d’integrazione del Nord. Così è stato nella prima Repubblica. Gli abitanti del triangolo industriale stavano a maggioranza col PCI: un effetto collaterale dello sviluppo. Per questo è stato necessario alla grande impresa settentrionale foraggiare il Mezzogiorno, ingaggiando per il servizio – a caro prezzo – DC e compagnia. Così con una sola fava sono stati beccati due piccioni: i voti per controbilanciare l’egemonia comunista e la forza lavoro per far funzionare le fabbriche settentrionali. Nella seconda Repubblica, sparita la minaccia comunista, fiaccata la grande impresa e sfasciate le casse pubbliche, il Nord si è trovato costretto a cambiare alleato. Una forza politica che si presenti come mera cinghia di trasmissione della modernizzazione, come produttrice di politiche razionali e utili alle necessità dell’organizzazione socio-economica non fa proseliti. E’ stato necessario anche in questo caso rivolgersi ad ancelle indomabili, in grado però di regalare un sogno oltre-funzionale agli elettori. Un nuovo patto con nuovi diavoli: l’iperconsumismo berlusconiamo e l’ipercomunitarismo leghista. E’ così che il Nord ha cominciato a far finta di lamentarsi dell’assistenzialismo meridionale, che esso stesso, a suo prioritario vantaggio, aveva alimentato per decenni, facendo agio sulla nuova struttura produttiva molecolare che andava sostituendosi a quella “molare” conosciuta nei trent’anni gloriosi.
Le nuove reclute ci hanno provato ma, al di là della cattura del popolo, proprio non ce la fanno a governare. La loro inettitudine è conclamata, imbarazzante. Niente a che vedere con le macchine da guerra democristiane e socialiste. Insomma, c’è bisogno di nuovi alleati. Nelle grandi città lo si capisce prima che nelle campagne (non si sottolineerà mai abbastanza la caratterizzazione fortemente “urbana” di questo voto): la buona borghesia internazionalizzata è più presente e meno bisognosa dei cascinari della Lega da sguinzagliare presso il ceto medio impaurito. Occorre un soggetto politico nuovo che realizzi la secessione vera. La bambagia assicurata un tempo dallo Stato non basta più. La competizione internazionale si fa sempre più esigente e non ammette palle al piede. La sinistra appare in questo frangente transitorio più affidabile, più adatta allo scopo. Prima di tutto, la sinistra della modernizzazione hard à la Chiamparino-Fassino: perfetta, ma eleggibile solo nella Torino azionista, austera e perfettina. Oppure quella a marchio Report, ecologica, fotovoltaica, ciclabile e riciclabile. A’ la finlandese. Ossia Pisapia. Entrambe queste sinistre sono perfettamente funzionali al progetto di integrazione modernizzatrice e promettono ben più seriamente di Lega e Pdl di liberarsi della zavorra del Sud (liberarsene di fatto, senza che ci sia bisogno di deliberarlo). E’ ovvio che si tratta di una soluzione tampone, della quale il Nord che conta non può fidarsi fino in fondo (poiché il prezzo da pagare in termini di giustizia sociale, correttezza degli affari, valori universalistici ecc. potrebbe essere insostenibile), in attesa che si consolidi a destra una nuova proposta. Magari, un liberalismo montezemolo e puttanone, che dia appeal all’impresa modernizzatrice, tutto merito, tecnologia ed expo.
Più decisa sarà la guida verso le eccellenze della competizione internazionale, più il Mezzogiorno si perderà nel suo buco nero. Le forme di acquisività politica e la costellazione di stratagemmi orbitali per la captazione dell’extra-profitto sono sempre più inefficienti nell’assicurare al Sud gli attuali livelli di consumo. La marginalità vera è in sempre più in agguato. Alti livelli di istruzione, elevati standard di consumo, perfetta integrazione nella cultura di massa occidentale da un lato e, sul piano struttural-produttivo, nient’altro che esclusione: questo è un potenziale di frustrazione esplosivo, la cui miccia è già accesa. Nel vuoto dell’economico, sulla politica si scaricheranno tutte le velleità di presenza al mondo dei meridionali. La politica diventerà un grande teatro di follia, di creatività a perdere, di corruzione e di consolazione. Piccolo cabotaggio criminale e grandi slanci da parvenu della civiltà saranno le due facce di un’unica disperazione. Conviveranno raccolte differenziate al 90% e mazzette a fiumi. Napoli ne è il paradigma. Vendola, in questo contesto, avrebbe potuto essere il leader della rabbia meridionale e invece ha scelto di fare l’americano, di intraprendere la strada dell’allucinazione consolatoria. Quello che ci attende è la moltiplicazione dei De Magistris.