martedì 9 agosto 2011

Nuovismi di ritorno. Il Pci e i suoi figli

Quel che detestavo nel vecchio Pci era l’appuntamento con l’emissario della Federazione. Puntuale, su ogni questione all’ordine del giorno veniva a dettare la linea ai militanti di provincia. Chiunque fosse, era una spanna sopra i locali, quanto a dialettica, doti oratorie, capacità di persuasione. Perciò non c’era verso: la linea dettata risultava sempre quella giusta, lapalissianamente, da qualsiasi lato la si osservasse. Argomenti arcigni, piantati nel cemento, incrollabili. Ascoltandolo, uno ci provava col pensiero a fargli le pulci, a ricercare delle alternative possibili o quanto meno delle controindicazioni, delle piccole imperfezioni. Ma dopo poco, incredibilmente, ciascuno di quei pensieri, prima di essere esposti dagli astanti, diventavano uno ad uno oggetto di sbeffeggio da parte dell’ospite, smascherati nella loro inconsistenza e infine denunciati come “oggettivamente” confacenti al gioco degli avversari. Ebbene sì, i funzionari del Pci sapevano leggere nel pensiero. E a noi non restava che vergognarci per aver semplicemente osato pensare di svicolare dalla “linea”.
Quel che trovavo ancor più insopportabile era la facilità con la quale la settimana successiva quello stesso funzionario – o chi per lui – sbarcava nuovamente in periferia per dettarci una linea che andava nella direzione esattamente opposta a quella della settimana precedente. “L’occupazione viene prima della tutela ambientale!”. E qualche giorno dopo: “non si possono scarificare gli equilibri ecologici in nome dello sviluppo!”. Ma non c’erano santi. Gli argomenti per la piroetta apparivano inappuntabili. Di più. Egli era in grado di dimostrarci che tra la linea della settimana precedente e quella della settimana successiva non c’era alcuna contraddizione. E se uno non capiva l’assoluta coerenza tra le due posizioni era chiaramente un cretino.

Inseguire “il nuovo” costituiva una specie di ossessione. E questo generava acrobazie politiche risibili, posizionamenti improbabili. Il Pci era davvero postmoderno. Ma veniva puntualmente scavalcato e travolto dai nuovisti veri, ritrovandosi sempre un passo dietro gli altri, sempre all’inseguimento, armato di argomenti granitici ma privo di convinzione.
Per questo, riesco a comprendere profondamente Vendola. Non passa giorno senza che egli non scagli una picconata contro la comunità politica che lo ha allevato. L’impressione però è che il Governatore finisca sempre per affrancarsi dal meglio di quella tradizione (vedi la sostituzione del “compagno” con “l’amico”) mentre il peggio, inconfessabilmente, continua a roderlo dentro, a determinarlo, come una mano nel buratto.
Il nuovismo acrobatico del Pci (in nome di un “pragma” mai definito nella sua sostanza) lo si rivede oggi nella disinvoltura con cui Vendola e i suoi attraversano le questioni dell’acqua, della sanità e, in ultimo, dell’istruzione.
Lo confesso. Io la questione del referendum sull’acqua non l’ho proprio capita. Non ho capito perché mai delle forze politiche di sinistra (PD in testa) che hanno ampiamente incluso nel proprio spettro ideologico le virtù del mercato (quantunque ben regolato) si sono totalmente appiattite sull’idea che l’intervento dei privati nella gestione e negli investimenti in materia di acqua fosse una specie di eresia. Se il bene acqua resta pubblico, dov’è il problema? Posso trovarlo inammissibile io. Ma io sono comunista. Loro che non lo sono, perché così perentoriamente predicano che l’acqua non solo debba restare in mani pubbliche ma debba essere anche assolutamente, necessariamente, senza alcun dubbio “gestita” dal pubblico?
A distanza di qualche settimana dall’evento referendario, bollato come miracoloso, lo stesso Vendola mi vuole convincere che far posto all’eccellenza portata in dote dai gestori privati (Don Verzé, nella fattispecie) è una necessità assoluta per la sanità pubblica. Che chi si spaventa per questa eventualità è un deficiente. Sempre lui. Sempre Vendola. E sempre – questo è il vero capolavoro – in nome del pubblico contro il privato. Come ha argomentato magistralmente l’assessore Pelillo, infatti, “la sanità privata si è allarmata … coltiva il timore di vedere decurtati i propri ricavi”. Qui siamo oltre l’ideologia del mercato. Il pubblico – secondo i nostri – non deve fare spazio al mercato, bensì adoperarsi attivamente per rafforzare un monopolio privato a scapito di tutti gli altri operatori (sic!). Solo Craxi era stato capace di portare avanti una simile logica: la applicò al settore delle telecomunicazioni e il privato eccellente, in quel caso, si chiamava Silvio Berlusconi. Oggi poi scopriamo che al Comune di Bari tutti i fondi già assegnati dal piano di zona al rafforzamento degli asili nido comunali saranno trasformati in voucher per accedere ai nidi privati. Poiché, come afferma l’assessore “sellino” autore dello storno, questo “è il modo più immediato per aumentare il numero dei bambini ospitati”.

Chi non lo capisce è contro il nuovo, contro il pragma. Il nuovo può avere oggi la faccia dell’efficienza privata, domani quella dei movimenti invasati per il “tutto pubblico”. Bisogna saper andare di slalom. Bisogna essere postmoderni. Postmoderni come il vecchio Pci. Insopportabile Pci. Insopportabile Vendola.