martedì 31 gennaio 2012

Perché il PD non espelle Emiliano?

Articolo 2, comma 9, dello Statuto del Partito Democratico: “sono escluse dalla registrazione nell’Anagrafe degli iscritti e nell’Albo degli elettori del PD le persone appartenenti ad altri movimenti politici o iscritte ad altri partiti politici […]”.
 Ci chiediamo come mai a Michele Emiliano non si applichino le regole del partito. Egli non ha semplicemente aderito ad un altro movimento politico ma lo ha persino fondato e griffato col suo nome. Il segretario Blasi sostiene che, sì, forse un problema di violazione dello Statuto ci sarebbe, ma solo nel caso in cui il Sindaco desse davvero seguito all’intenzione di costituire una lista nazionale. Ma questo criterio spaziale è una pura invenzione, di cui non v’è traccia alcuna nello Statuto. Chi sostiene un altro movimento che, indipendentemente dalla sua rilevanza territoriale, compete elettoralmente col PD è fuori dal partito. Punto e basta. Di più, l’opinione di Blasi, di Bersani e di tutti gli organismi dirigenti è, sul punto, del tutto irrilevante. Solo la Commissione di Garanzia territorialmente competente “in tali condizioni, dopo una breve verifica, comprensiva, nel caso, dell’audizione dell’interessato/a, provvede alla cancellazione dall’Anagrafe degli iscritti o dall’Albo degli elettori entro il termine di 15 giorni”. E ancora: “Nelle more del procedimento, per casi di particolare rilevanza, la Commissione può adottare un provvedimento di sospensione cautelare dall’attività di partito con efficacia immediata” (art. 11, comma 1, del Regolamento per le Commissioni di Garanzia del PD).
Dal momento che la cosa riguarda il Presidente regionale del partito, non v’è dubbio che si tratti di un caso di “particolare rilevanza”. E’ possibile che i membri della locale Commissione di Garanzia non siano venuti a conoscenza del fatto? E’ possibile che nessun iscritto al PD pretenda l’applicazione delle regole che il collettivo si è dato?

 Il nostro non è mero accanimento notarile. La questione ha uno straordinario valore simbolico. Se Emiliano la passa liscia anche stavolta significa che alla personalità carismatica viene data licenza di alterare le regole democratiche, di porsi al di sopra della legge. L’autorevolezza del partito, già appannata di suo, ne uscirebbe irrimediabilmente compromessa. Tutti i partiti, intesi soprattutto come organizzazioni collettive, sono oggi sotto ricatto. Ci si persuade unanimemente che senza personalità carismatiche, come quelle di Emiliano o Vendola, si è elettoralmente spacciati. Per questo si indulge ad ogni capriccio della star di turno. Ora, noi sappiamo benissimo che ciò che è “giusto” non sempre corrisponde a ciò che è “opportuno”. Se l’obiettivo è vincere le elezioni, si può anche soprassedere sul rispetto delle regole interne. Non ci scandalizziamo certo per questo. Tutti continuano a ripetere che, nonostante le ricorrenti intemperanze, Emiliano è una risorsa insostituibile per il centro-sinistra e ha governato bene la città. E’ forse giunto il momento di cominciare a mettere in discussione simili assunti.
Le personalità carismatiche possono essere utili in determinate contingenze, ma se poi queste rifiutano di innestarsi dentro un percorso collettivo e democratico, il rischio è che diventino dannose, anche sotto un profilo cinicamente elettorale. Tutti dimenticano che sia Emiliano sia Vendola, in occasione delle loro rispettive riconferme, hanno perso valanghe di voti, pur competendo entrambi con personaggi collocati al grado zero del carisma (Di Cagno Abbrescia e Palese). Le divisioni nel campo avverso sono state ben più decisive dei loro meriti.
Questo è avvenuto principalmente perché entrambi, invece di mettere a valore le loro capacità di leadership al fine di saldare alleanze con le categorie sociali e per costruire soggetti collettivi forti e organizzati, hanno fatto di tutto per sfasciare anche quelli già esistenti. Sull’argomento del “buon governo”, poi, vi sarebbe da discutere e tanto. Ma non è certo questa la sede. Il punto vero è che la situazione di profonda crisi strutturale in cui versa il Mezzogiorno rende obsoleto il modello politico incarnato, ormai già da vent’anni, dai nuovi sindaci.

Non abbiamo più bisogno di mettere a lucido le città, ma di ricostruire l’assetto economico-sociale complessivo. Per questo compito, non servono più né gli uomini soli al comando, né la cittadinanza liquida. Occorrono visioni lunghe e organizzazioni politiche solide. Insomma, è l’ora di uscire davvero dal berlusconismo.